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TRIDUO PASQUALE

La vita è segnata dal movimento, è un continuo ‘passare'. Dallo stato embrionale passiamo a quello successivo di feto: moriamo come embrione e risorgiamo come feto. Se questo non avvenisse, sarebbe la morte vera. Similmente diventiamo bambini solo lasciando il grembo della madre, morendo alla condizione di feto. E così si deve dire di tutti i successivi ‘passaggi'. Tutto - l'uomo, la natura, la storia, il progresso... – è sotto il segno del passare da una situazione di partenza a quella successiva. Bisogna abbandonare una posizione ('morire' ad essa) se si vuole conquistarne un'altra ('risorgere', assumere la nuova posizione): è una questione di vita, è una legge a cui nulla si sottrae. È quello che è definito 'ilemorfismo pasquale', volendo significare che la pasqua, intesa come 'passaggio', come un «morire-per-risorgere», è inscritta in tutto, e nulla si sottrae al suo influsso. Ogni uomo, credente o no, vive nel segno della pasqua. C'è però un problema: questo passaggio continuo non è forse indice di una incompiutezza? Fino a quando la morte definitiva (lo smacco) o verso la vita che non continuerà? Ha un termine? L'ultimo passaggio è verso la morte definitiva (lo smacco) o verso la vita che non finisce, cioè verso una pienezza?

Il mistero della pasqua di Cristo dà una risposta alle domande dell'uomo. Il Signore Gesù, con la sua risurrezione, prospetta che il continuo 'passare' non ha come suo ultimo termine la morte, bensì la vita. Nella festa anticipa e fa vivere come primizia il passaggio definitivo alla vita eterna. Infatti - scrive san Paolo – «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo». (1Cor 15,20-23)

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